venerdì 14 gennaio 2011

Recensione - VITALES EXSEQUIAE


VITALES EXSEQUIAE - A Short Lived Hope
(2009, Casket)

Posso ben dire di aver seguito la nascita e l’affermazione di questa band sin da quando era soltanto un’idea nella mente del suo fondatore. Circa cinque anni fa conobbi sul forum della Negative un certo Marco Squillino, un ragazzotto tarantino che condivideva con me l’amore per il Doom e il Gothic Metal, generi troppo spesso stereotipati e disprezzati dal metallaro comune. Anathema, My Dying Bride, Katatonia, Opeth sono solo alcune fra le band che venivano menzionate nelle nostre discussioni. Mi disse che aveva l’intenzione di fondare una nuova band, e per un po’ non ci sentimmo più. Dopo pochissimo tempo, i Vitales Exsequiae erano nati ed erano già sicuri di sé e del genere che intendevano proporre: un Doom Metal con elementi Death, Gothic e Progressive, e Marco ne era il cantante e chitarrista.
Dopo un anno e mezzo dalla sua uscita, finalmente mi ritrovo tra le mani il loro ep, A Short Lived Hope, e resto davvero sorpreso dalla cura con cui sono state realizzate la confezione e la veste grafica del prodotto: copertina lucida, booklet di 8 pagine con testi e foto, custodia spessa da 10mm e disco serigrafato. L’etichetta britannica che li ha prodotti ha davvero realizzato un ottimo lavoro sotto quest’aspetto. Ma passiamo ad analizzare l’aspetto musicale, che poi è quello che conta di più. Il genere proposto è un Doom Metal molto contaminato dal Death e dal Progressive oscuro degli Opeth, band che più di ogni altra sembra aver ispirato i Vitales Exsequiae. L’ep è composto da quattro tracce di cui due piuttosto lunghe (prerogativa essenziale nel Doom Metal, fatto appunto da atmosfere rilassate e prolungate per un minutaggio maggiore), e complessivamente ricopre una mezzora. Il disco comincia con THE ANATOMY OF INEPTITUDE, anticipata da una brevissima e romantica intro di tastiera che si connette a un inizio brano che mi ricorda molto MASTER’S APPRENTICES degli Opeth. Fortunatamente le “scopiazzature” si fermano lì, e la canzone prende una direzione molto disomogenea, senza chorus facilmente ricordabili e seguendo uno sviluppo originale e non ripetitivo, quasi come se fosse una piccola suite di 8 minuti e mezzo. Subito dopo troviamo REQUIEM FOR A DREAM, una ballata liquida e malinconica che ogni tanto concede piccole accelerazioni di tempo. Stando alle mie conoscenze, e per farvi un’idea più precisa, direi che segue in qualche modo il mood e le atmosfere di BRAVE MURDER DAY dei Katatonia, l’album che, guarda caso, aveva l’opethiano Mikael Akerfeldt alla voce. Nell’inizio del terzo brano, ahimé, ho trovato un’altra somiglianza un po’ troppo palese: l’intro è infatti molto simile alla parte finale di HARLEQUIN FOREST degli Opeth. Ma tutto ciò, di nuovo, dura nemmeno dieci secondi, e il pezzo complessivamente risulta originale e piacevolmente ascoltabile. Ispirato a mio avviso al sound di GHOST REVERIES degli Opeth, per via del senso di inquietudine e di angoscia dovuto agli incroci delle chitarre e del suono usato dalla tastiera, è il brano più massiccio dell’ep, con diverse accelerate e accostamenti al Thrash/Death Metal. Durano poco, ma ci sono e convincono l’ascoltatore. Sempre in questa traccia troviamo la presenza di diverse parti acustiche dove il cantante, finora autore di un growling molto oscuro e vicino alla tradizione Gothic/Doom dei primi anni ’90 (Paradise Lost e My Dying Bride sono solo due fra i nomi accostabili), da sfoggio di soffusi intermezzi in clean. Come ultima traccia troviamo SHALLOW FLOWER, il brano più lungo (10 minuti buoni) e “doomish” del disco, o meglio, quello che possiede meno contaminazioni da altri generi. Anche qui troviamo sia le accelerate che le parti in clean vocals, ma nel complesso un amante del Doom può decisamente saziare i suoi timpani. Il disco infine, si conclude nello stesso modo con cui è iniziato, e con le stesse sonorità: un dettaglio irrilevante, ma che comunque c’è e fa piacere, in quanto dona compattezza e credibilità all’ep e non lo rende semplicemente “un insieme di qualche canzone per farsi conoscere”. Quindi a parte qualche imprecisione e indecisione in alcuni punti dell’ep, si tratta di un lavoro solido e ben prodotto, e bisogna inoltre apprezzare anche il coraggio dei Vitales Exsequiae per aver deciso di proporre un genere musicale, il Doom Metal, di difficile assimilazione e che quindi raramente viene capito e apprezzato appieno dal metallaro medio.

Grewon

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